13 maggio, torno dal lavoro e corro di là. Scosto la tenda e un Gigino è li, in piedi sul ferro del portavasi, girato verso l’interno, verso di me. Il nido è vuoto, c’è solo lui. Corro in soggiorno, afferro la digi, torno di là, c’è ancora. Apro piano la finestra, mi avvicino, paroline dolci. Programmo la digi, mi tremano le mani. E’ il tramonto, devo usare il flash, click. Fatto.
Più vicino, ti prego, lasciami avvicinare, è l’ultima foto, click.
Un frullo d’ali, il frrrrrrr del piccolo fra le foglie del faggio, un chiuchiu proveniente da giù, dal prato.
Il nido vuoto.
Chiu, chiu. Non resisto. Scendo di sotto, magari si è fatto male, magari non ha proprio volato, è un po’ caduto, lo cerco nell’erba rada, non c’è. Allargo il campo d’azione, chiuchiu da sotto l’abete, vado là. E’ li che zampetta vicino al tronco, piccolino, fa chiuchiu. Sopra la mia testa, due decisi frulli d’ala, come un avvertimento. Alzo gli occhi, la vedo, è la Gigia, ha nel becco qualcosa. Ok, ho capito, è tutto sotto controllo. Dico ciao a tutti e due, me ne vado, torno su.
Stasera me la scrivo, questa storia, non vorrei dimenticarmela, non capiterà più.
L’ultimo Gigino, era là, mi ha aspettato, mi ha aspettato per salutarmi.
Probabilmente è stato solo un caso, ma a me piace pensare che sia così.
E mentre ho scritto la storia, ho gli occhi pieni di lacrime.
"la bellezza è negli occhi di chi guarda"